La letteratura spagnola ha nomi poco conosciuti che meritano attenzione e nomi conosciuti ai più che l’attenzione se la sono guadagnata nei secoli passati.
Blasco Ibanez appartiene sicuramente a questa seconda fascia e Sangue e arena è sicuramente il suo romanzo più conosciuto (probabilmente insieme alla trilogia sulla Grande Guerra).
Sangue e arena è un affresco magnifico e dettagliato sul mondo delle corride e su tutto quello che le circonda.
Juan Gallardo è il figlio di un calzolaio che con passione, dedizione e coraggio diventa torero riuscendo persino ad evitare la gavetta. E diventa uno dei toreri più amati per il suo coraggio e per il suo sprezzo del pericolo.
Sarà solo un duro infortunio (l’inevitabile incornata) a cambiare la sua storia, a renderlo più debole e attento. E a rivoltargli contro buona parte dei suoi sostenitori.
La capacità di Ibanez di raccontare e di descrivere con la sua prosa lucida e dettagliata è straordinaria.
Nel corso del romanzo sono diversi i momenti di fascino letterario assoluto. A partire dalla lunga e dettagliatissima descrizione iniziale della vestizione del torero, con tutti i suoi rituali e le sue superstizioni.
E naturalmente non può mancare la descrizione minuziosa dello scontro col toro, che ritorna in più momenti ogni volta diversa, ogni volta presentando un aspetto diverso e spesso tragico.
Ma il mio gusto horror mi fa inevitabilmente godere del racconto incredibilmente realistico dei momenti più gore del romanzo. Personalmente trovo devastante la descrizione del ruolo dei cavalli durante la tauromachia, come questi vengono sventrati dal toro, ricuciti malamente dai garzoni e rimessi in piedi perchè possano affrontare ancora pochi minuti di scontro prima di stramazzare definitivamente in un lago di sangue.
Tuttavia i momenti degni di nota in Sangue e arena sono innumerevoli. Dall’incontro con il bandito Plumitas al rapporto di Gallardo con la sua amante Dona Sol e con la moglie, ma soprattutto con i suoi tifosi che sono il vero motore delle sue imprese. E notevole è anche la lunga descrizione della processione della Madonna, ancora una volta ricca di dettagli e particolari.
Ibanez è in grado di catapultarci nel cuore di un mondo affascinante (che conquistò Hamingway), duro, fortemente legato alle tradizioni popolari. La corrida è il cuore di quella Spagna. Il popolo vive in funzione degli scontri dei toreri.
E non meno affascinanti sono le caratterizzazioni dei personaggi: dal Nacional, che combatte interpretando la corrida come un lavoro, senza quel fuoco sacro che anima Gallardo, a Carmen, moglie capace di oscurarsi nel sostenere il marito soffrendo ad ogni corrida ed accettando in silenzio anche le scappatelle del marito famoso.
E chiudo così come chiude il romanzo.
Con quel “Ruggiva la belva: la vera, l’unica.” riferito non al toro, non al torero ma al pubblico, alla massa di tifosi che con la loro passione divorano i protagonisti, entrambe vittime di una tradizione che è diventata storia.