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Si è voluto cimentare, Jonathan auf der Heide, con un personaggio molto famoso in Australia.
Van Diemen’s Land è la storia vera di Alexander Pearce, detenuto in Tasmania (all’epoca Van Diemen’s Land appunto) quando questa era un’enorme colonia penale anglosassone.
Siamo nel 1822 ed otto persone provano una difficilissima fuga dalla colonia penale.
Difficilissima perchè la Tasmania dell’epoca non è altro che una gigantesca foresta praticamente inesplorata.
Gli otto si allontanano e si inoltrano nel bosco, poi iniziano una infinita corsa nel tentativo di raggiungere la zona abitata più vicina.
Sono settimane di cammino nella foresta, sotto le continue piogge e ben presto sotto la neve.
Naturalmente freddo e fame finiscono anche per provocare liti e divisioni all’interno del gruppo, ma la situazione precipita quando uno dei fuggitivi capisce che l’unico modo per sopravvivere è quello di sacrificare uno di loro… e di mangiarlo.
Anche perchè la foresta è praticamente priva di altre specie animali.
Comincia così una lenta lotta che vede la nascita di alleanze all’interno del gruppo. Non ci si può fidare di nessuno ed uno dopo l’altro cadono sotto i colpi della scure praticamente tutti i membri del disperato gruppetto.
Quando rimangono in due, naturalmente Pearce e Robert (l’ideatore originario degli atti di cannibalismo), diventa una lotta psicologica per la sopravvivenza.
Van Diemen’s Land ci mostra dei luoghi fantastici. E se si prova ad estraniarsi dalla vicenda narrata si può anche provare a godere di quegli spazi, di quella natura incontaminata. Immagini rese ancora più spettacolari da una fotografia molto calda, piena di grigi. Non siamo mai in luce piena (del resto siamo in fuga), è sempre tutto molto ovattato.
E a sentire le reazioni in sala immagino sia un bel colpo, per spettatori meno avvezzi del sottoscritto ad horror truculenti, la sequenza del primo omicidio, resa con buona dovizia di particolari. In pratica una bella testa spaccata, un corpo non ancora morto tremante per gli spasmi dell’agonia e soprattutto il suddetto corpo appeso come un maiale perchè si dissangui al meglio.
Gli omicidi seguenti sono meno mostrati e meno cruenti, ma non manca (non potrebbe mancare) la scena in cui i protagonisti sgranocchiano un avambraccio di qualcuno dei colleghi.
Pensare che quella che abbiamo visto sullo schermo sia la ricostruzione di una storia vera mette naturalmente i brividi, anche se storie di cannibalismo hanno spesso trovato spazio al cinema.
Sembra però evidente l’intenzione di Heide di aprire anche una riflessione sul rapporto tra uomo e natura, riflessione condizionata inevitabilmente dalla violenza degli eventi.
Il film è comunque gradevole, sebbene inevitabilmente lento e ripetitivo. Del resto cosa volete che possa accadere in settimane di camminata in una foresta?
Beh… si… certo… cannibalismo a parte!