Molto forte, incredibilmente vicino… dannatamente bello!

Non c’è dubbio che Stephen Daldry abbia realizzato un film che rimarrà nella memoria dello spettatore per parecchio tempo.
Molto forte, incredibilmente vicino (curioso titolo, no?) avrà qualcosa da dire anche visto (o rivisto) a distanza di anni.

I film sull’11 settembre iniziano ad essere un buon numero, alcuni buoni, altri scadenti, ma questo non è un film sull’11 settembre, è piuttosto una storia privata, un rapporto padre/figlio, una perdita, un tentativo di crescere che trova spazio con un forte legame a quella data e a quell’evento.
Evento che lascia inevitabilmente il segno ma non è il fulcro della vicenda, nè (o almeno non totalmente) del problema.

Oskar ha uno splendido rapporto col padre, col quale gioca, parla e crea incredibili avventure e misteri, come quello del Distretto 6 di New York misteriosamente scomparso nel tempo e della cui esistenza i due sono alla ricerca di indizi.
Il padre di Oskar però è tra le vittime dell’attentato dell’11 settembre e, come molti altri, il ragazzino fatica ad accettare una perdita così cruda e inspiegabile.

Comincia così a raccogliere oggetti del padre e a scavare nei ricordi e viene così in possesso di una chiave contenuta in una busta con sopra una sola parola.
Convinto che quella chiave nasconda un segreto a lui riservato, il giovane Oskar affronta New York in una ricerca immensa con le armi che il padre gli ha insegnato, su tutto la convinzione e la volontà.

Daldry mette nel film davvero un sacco di cose belle.
Si parte con una riflessione del ragazzino dura che ci presenta il personaggio che impareremo presto a conoscere.
Poi viene fuori il rapporto col padre e quello (molto più difficile) con la madre.

Ma se l’insieme è sostanzialmente perfetto, sono i particolari a regalare perle di atmosfera e di godimento culturale.
Interessante l’idea di trasformare New York in campo di un’affascinante avventura, splendida la sequenza in cui il ragazzino elenca le nuove paure nate dopo quel giorno maledetto.

E a proposito del protagonista c’è da dire che Thomas Horn è davvero bravo e capace di non uscire mai dalle righe anche nei momenti in cui il ruolo che interpreta è più a rischio.
Straordinaria ad esempio la sequenza in cui vomita addosso al vecchio Max Von Sidow (muto e appena conosciuto) tutta la sua storia che fino a quel momento ha tenuto gelosamente per se.
E i dialoghi tra il giovane e il vecchio (che ripeto in realtà non parla) sono tra le cose migliori del film per efficacia e potenza.

Ancora ottimo il modo in cui Daldry racconta a pezzetti l’evento forte, la morte del padre, i messaggi da lui lasciati sulla segreteria, costruendo un mistero di cui ci liberiamo solo insieme al ragazzino nel momento in cui anche lui supererà lo shock e le difficoltà della perdita.

Ci sarebbero ancora una marea di cose da dire su un film che ha anche il merito di portare in scena due colossi come Tom Hanks e Sandra Bullock e farli girare intorno al ragazzino senza mai rischiare di togliergli spazio.
Mi fermo però qui e vi invito con tutto il cuore (e qualche pacchetto di fazzoletti) ad andare a vederlo da domani, giorno in cui sarà in sala in Italia.

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