Il bambino che credeva nella libertà è un romanzo davvero particolare, quantomeno nella sua struttura… sono quasi due romanzi.
O meglio un romanzo e una raccolta di racconti.
Bina Shah alterna i capitoli raccontando la vicenda principale ed una serie di racconti legati alla storia ed alla tradizione del Pakistan, del Sindh in particolare.
La vicenda centrale (i capitoli sono titolati con le date progressive degli avvenimenti) racconta di Alì, giovane giornalista che vorrebbe vivere con più passione la sua vita, si impegna politicamente in proteste dal basso, litiga con la fidanzata e soprattutto vive l’intera vicenda con l’ombra di Benazir Bhutto, compiendo un percorso personale di avvicinamento al personaggio ben costruito e molto interessante.
I racconti hanno titoli differenti e ci mostrano un panorama tradizionale importante, spiegando con miti e situazioni storiche (raccontate però quesi sempre attraverso esperienze private) la storia sociale e politica del Sindh.
Anche i racconti si avvicinano man mano alla vicenda di Benazir e del suo augusto padre.
L’insieme è un libro molto coinvolgente e decisamente affascinante.
Curiosità: anche se nel titolo originale il termine “bambino” compare, la mia impressione è che il titolo italiano provi a cavalcare l’onda di tutta quella serie di romanzi pubblicati negli ultimi anni di autori mediorentiali con bambini più o meno protagonisti (anche perchè qui il bambino, non c’è).