Anno 2007, l’Italia viene sconvolta da due delitti che hanno come vittime due giovani donne. A Garlasco viene uccisa in casa Chiara Poggi, a Perugia stessa sorte tocca ad una studentessa inglese, Meredith Kercher. Sono due casi che colpiscono fortemente l’opinione pubblica per l’età delle vittime, per l’età dei possibili colpevoli, per le incongruenze, per tutta la narrazione che negli anni successivi accompagnerà i due processi.
A distanza di quasi 20 anni Roberta Bruzzone e Valentina Magrin ricoscruiscono le due vicende, puntando l’attenzione sulle similitudini tra i due casi con un volume edito da Mursia, Delitti allo specchio.
Ed in effetti molteplici sono i punti di contatto tra le due storie, dall’età delle vittime, alla lunga serie di processi, dagli errori commessi da chi è intervenuto per indagare sulla scena del crimine. Fino, ed è da qui che parte l’analisi, al fatto che entrambi i processi sono stati processi indiziari, quindi senza una prova certa e definitiva ma con una serie di indizi talmente ampi e concordanti da portare alle sentenze.
Sentenze che sono state modificate nei vari gradi di giudizio fino ad arrivare alla definitiva. A Garlasco l’unico imputato Alberto Stasi è stato ritenuto innocente due volte, in primo e secondo grado, ma dopo il rinvio della Cassazione è stato condannato (di nuovo due volte) fino alla definitiva condanna a 16 anni di reclusione.
A Perugia la situazione è più complessa. Da un lato il processo con rito abbreviato per Rudy Guede, conclusosi velocemente con la condanno. Dall’altro l’infinito sali e scendi che ha visto protagonisti Amanda Knox e Raffaele Sollecito, prima condannati, poi assolti, poi di nuovo condannati e infine assolti definitivamente.
Le autrici riprendono in mano passo doppo passo le due vicende, organizzandole per temi. Si parte dal ritrovamento dei corpi, si passa alle dinamiche delle aggressioni e poi ora della morte, testimoni, antefatti. E ancora i racconti degli imputati, lo svolgersi dei processi e infine le prove (esistenti o mancanti). Quindi le armi dei delitti, le analisi delle celle telefoniche e dei computer, le analisi genetiche e le impronte, fino a concludere con la “nota stonata” che tiene ancora viva l’attenzione su entrambi i casi.
Il libro non emette giudizi, com’è è giusto che sia, ma analizza dati, eventi e situazioni. Solleva dubbi, racconta nei dettagli tutto ciò che è noto. Non lesina critiche per gli errori commessi da chi aveva il compito di investigare. Ne viene fuori un racconto attento e dettagliato, corredato da una serie di immagini tratte dai materiali processuali, che ha il merito di essere molto chiaro e preciso, scendere in dettagli e particolari e spingere il lettore a conoscere e ragionare.
Alla fine è probabile che il lettore si sia fatto una propria idea, senza dimenticare che entrambe le storie hanno avuto una chiusura processuale ma ricordando anche che non sempre la verità processuale combacia con la verità assoluta in un delitto.