District 9 – l’ultima immigrazione

District 9 è senza dubbio il film più politico dell’anno.
Neill Blomkamp (prodotto da Peter Jackson) ha messo insieme un film che è una dura presa di posizione contro il razzismo crescente e la stupida paura del diverso.

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Gli alieni sono giunti sulla terra vent’anni fa. Sono delle specie di gamberoni giganti malnutriti, sporchi e litigiosi. Si sono fermati sul cielo di Johannesburg e sono stati inevitabilmente segregati in una baraccopoli alle porte della metropoli sudafricana, il Distretto 9.
Qui vivono di espedienti, continuamente vessati dalla popolazione umana.
Dopo vent’anni si decide di trasferire tutti (si parla di quasi due milioni di alieni) in una zona nuova, una tendopoli. La scusa è quella di migliorare le condizioni di vita dei rifugiati, in realtà si vuole avere accesso alle armi che questi nascondono, armi inutili perchè funzionano solo se legate al DNA degli alieni.
A guidare l’operazione e Wicus Van de Merwe, agente abbastanza imbranato dell’MNU.
Qualcosa non funziona e Wicus riceve in pieno volto lo spruzzo proveniente da una botticella misteriosa.

E qui finisce la parte politica e innovativa del film, e comincia l’action movie vero e proprio.
Si, perchè in District 9 c’è anche questo.
Wicus inizia a trasformarsi in gamberone e finisce per essere sottoposto a studi crudeli da parte degli uomini. Ovviamente scappa e va a rifugiarsi nel Distretto 9 dove entra in contatto con Christoper (!), alieno ultratecnologico che sta progettando il ritorno a casa dei suoi.
Inevitabile scontro con le forze dell’MNU e tutto quello che segue.

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Detta così sembra che io voglia sminuire il film, in realtà in District 9 c’è veramente un sacco di roba.
Ottima la prima parte con la rappresentazione della baraccopoli e gli alieni ritratti come i più stereotipati dei rifugiati.
Non manca nel campo la presenza di potenziali terroristi, che curiosamente sono nigeriani (cosa che non ha mancato di sollevare le proteste della Nigeria). Questi trafficano armi e vendono cibo per gatti (di cui gli alieni vanno ghiotti).
Il campo profughi è una specia di New York Carpenteriana in 1997, fuga da New York, un mondo duro con le sue leggi e da cui è difficile uscire.

Ottima, ma non certo nuova, l’idea di presentare il tutto miscelando bene immagini da film e immagini tratte da un ipotetico documentario sulla vicenda.

Ottima anche la seconda parte del film, una volta abituatisi al cambio di ritmo e di stile. Un film d’azione in cui il timoroso ed insicuro Wicus si trasforma in eroe con tante macchie e senza paura, capisce chi sono i cattivi e finisce per sacrificarsi per il bene degli alieni.

E ottima anche la realizzazione grafica degli alieni, disgustosi ma potenzialmente realistici. Io avrei giusto evitato il robot da combattimento con cui l’ormai mezzo uomo fa strage di uomini dell’MNU, una specie di Transormer a trazione biologica. Ma giusto perchè non mi piace il genere, in realtà ho l’impressione che funzioni anche quello.

E funziona sicuramente la trasformazione del corpo del protagonista in ci vedo molto Cronenberg, visto che in questi giorni si parla di un remake de La mosca.

Insomma un film talmente ricco che potremmo continuare a parlarne per ore.
Mi limito invece a due sole considerazioni finali.
Notato come si invertano le parti ed i buoni finiscano per essere i terribili alieni? Sembra di assistere ai primi film in cui gli indiani d’america cambiavano ruolo rispetto al western classico e diventavano vittime e non più carnefici. Del resto sempre di ghettizzazione stiamo parlando.
Ultima considerazione.
Il film è bello, ma la grossa novità è sicuramente l’idea di raccontare gli alieni non come invasori ma come immigrati ghettizzati. Il problema è che questa novità era già tutta presente nel cortometraggio di Blomkamp cui questo film è ispirato.

6 Comments

  1. Verissimo, il corto già dice parecchio. Comunque è un mix potente, solitamente non gradisco la mdp che balla ma qui ci stava bene. Regista fenomenale 🙂

  2. soloparolesparse says:

    A me non dispiace in generale… purchè sia giustificata dalla vicenda o quantomeno dallo stile del film.

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